Birdman – The unexpected virtue of ignorance

spoiler warning : high 

Birdman-

Riggan Thomson (Michael Keaton) è un famoso attore rimasto intrappolato nel personaggio di Birdman, un supereroe di grandissimo successo che ha interpretato negli anni ’90.

Ossessionato dall’idea di dimostrare al mondo (nonché alla famiglia, allo show business e a se stesso) di essere un valido attore, scrive, dirige e mette in scena a Broadway l’adattamento di un racconto di Raymond Carver.

Nella temeraria impresa divide il palco con Mike (Ed Norton), talentuoso e svalvolato compagno della fragile e insicura Leslie (Naomi Watts), e la “fidanzata” Laura (Andrea Riseborough). La figlia Sam (Emma Stone), appena uscita da un programma di recupero per tossicodipendenti, gli fa da assistente personale. All’infinito turbinio narrativo (a tratti sembra di essere dentro un unico piano sequenza) partecipano anche il manager Jake e la ex moglie, Sylvia. Con ciascuno di essi, oltre che con se stesso e il suo ingombrante alter ego, Riggan ha problemi da risolvere o entra in conflitto.

Angosciato dalle enormi aspettative della prova che lo aspetta Riggan viaggia dall’empireo all’inferno delle emozioni, andata e ritorno, più volte al giorno. A pochi giorni dal debutto, durante le anteprime, le tensioni non risolte esplodono in ogni modo possibile e Riggan si trova più volte sul punto di mollare tutto. Sia la figlia, che Mike, che la critica letteraria del New York Times lo feriscono e lo umiliano profondamente, dicendogli che lo spettacolo è patetico, che lui è patetico, che sarà sempre e solo una celebrità, mai un vero attore.  Riggan si rifugia in camerino dove spacca tutto e finisce nel solito, vertiginoso giro sulle montagne russe emozionali insieme all’inseparabile Birdman. L’alter ego vuole, come sempre, tornare in scena e lo incalza continuamente a produrre il quarto blockbuster. Malgrado sia confuso e titubante Riggan è però ormai deciso a debuttare, e traghettare se stesso oltre la tuta di lycra e le piume d’uccello. A questo punto l’alter ego smette di rimproverarlo e inizia a blandirlo e adularlo, spingendolo ad ideare un finale sconvolgente e strepitoso, degno di un “dio del palcoscenico”.

Come nel più classico misto shakespeariano di tragedia e farsa (il “tradimento” di Mike scoperto a flirtare con Sam, Riggan che rimane in mutande in mezzo alla strada, la sostituzione di un particolare oggetto di scena…) la storia si avvita verso il finale, seguendo una perfetta spirale narrativa priva di battute d’arresto.

I sospetti di un finale tragico alla “Cigno Nero” si manifestano inesorabili, sebbene la telecamera non sia lì, a guardare inutilmente nel buco della serratura della mente disturbata di Riggan. Si ferma invece a lungo, e finalmente, in un vuoto corridoio. Sentiamo lo sparo, e gli applausi. La telecamera riprende il suo moto mentre “l’imprevedibile virtù dell’ignoranza” concede a Riggan la chance di uscire di scena- a teatro- liberandosi di Birdman, e nella vita, diventandolo.

Come nel paradosso del gatto di Schrodinger, Riggan- sfigurato e trasfigurato- muore e non muore, uccide (freudianamente) Birdman e si fonde con lui, cerca una soluzione razionale e (forse) ne trova una irrazionale.

locandina birdman

Meteore, meduse, assoli di batteria, rughe, parrucchini, whisky da sei dollari. E poi deliri di onnipotenza, disturbi della sessualità, insicurezze, fragilità. E sensi di colpa, rimorsi e rimpianti.

Inarritu mette moltissima carne al fuoco ma la domina e la dosa alla perfezione lasciando lo spettatore a godersi il piacere della convulsione narrativa e a contorcersi nella tensione senza poter riprendere fiato, fino all’ultimo, sorprendente, fotogramma. E’ un film da Oscar, con un attore protagonista da Oscar.

Di Birdman si parlerà molto a lungo e con esso “la trilogia sulla morte” (Amores perros, 21 grammi, Babel) si arricchisce a mio avviso del quarto, magnifico, compagno di viaggio.

Categoria: capolavoro.

Springboardwalk Empire

Avete fatto caso che diversi membri del cast di Boardwalk Empire sono presenti in produzioni cinematografiche di ottimo livello?

Owen Sleater- Charlie Cox (La teoria del tutto)

Charlie+Cox+HBO+Boardwalk+Empire+Season+Three+NenP2kTuytul

Richard Harrow- Jack Houston (American Hustle)

Jack-Huston-richard harrow

Al Capone- Stephen Graham (tra gli altri: Pirati dei Caraibi, This is England, Blood, La Talpa, Nemico Pubblico)

stephen-graham

Arnold Rothstein – Michael Stulhberg (Men in black 3, Blue Jasmine, 7 psicopatici, Hitchcock)

arnold rothstein michael stuhlberg

Chalky White – Michael K. Williams (12 anni schiavo, Vizio di forma, The gambler)

chalky white - Williams

Nelson Van Alden- Michael Shannon (tra gli altri: L’uomo d’acciaio, The Iceman, Senza freni, Mud)

Michael Shannon- Nelson van-alden-1024

Eli Thompson- Shea Whigham (tra gli altri: The Lincoln lawyer, Il lato positivo, The wolf of Wall Street, American Hustle, Knight of cups)

eli Thompson. Shea Whigham

Selma

selma

Non è che perché fai un film su Martin Luther King deve essere per forza un tripudio di standing ovation !

Capiamoci: la storia di Martin Luther King merita sempre la più ampia considerazione perché prevaricazione, ottusità e violenza sono fisiologicamente presenti nei rappresentanti di ogni generazione di esseri senzienti, ma Selma di Ava DuVernay mi ha deluso, e parecchio.

Sì, l’accordo era che l’interpretazione dovesse essere realistica e “non hollywoodiana” ma David Oyelowo fallisce, a mio avviso,  la prova, recitando per centoventi interminabili minuti con la stessa espressione incazzata e corrucciata, del tipo “tanto so che devo morire”, e/o Arnold e il suo “cosa stai dicendo Willis?”. Unica concessione: l’aggiunta di una sfumatura da cane bastonato quando la moglie (Coretta King-Carmen Ejogo) si trova nei paraggi.

Uffa.

Il film è assai lento e in certi tratti anche noioso, il che è davvero un peccato mortale, perché al di qua dello schermo sai che in quei momenti si sta decidendo “la storia dei diritti umani”, tout court.

Moltissimi dialoghi vengono snaturati diventando ridondanti proclami, enfatizzati da una colonna sonora, un po’ ruffiana e un po’ “western”, che tenta di emulare lo stile ( peraltro ironico) di Tarantino.

No, non ci siamo ! Sullo stesso tema il film “ The Butler” è di gran lunga superiore, Selma al massimo può essere ospitato con onore su History Channel, ma non parlatemi di nomination o di Oscar.

Meritano degnissima menzione: l’inossidabile Oprah Winfrey, Tim Roth (finalmente in un ruolo da cattivissimo, interpreta il governatore dell’Alabama – Wallace), Tom Wilkinson (un odioso Lyndon Johnson, penosamente ossessionato dall’immagine futura più che dalla coscienza presente) e Martin Sheen, che a 74 anni ancora non sbaglia un colpo.

Categoria: to be seen on History Channel

Fargo – aspettando il finale di stagione

molly

Fra i pochissimi vantaggi di contrarre il virus H1N1 c’è indubbiamente quello di potersi godere ore e ore di tv senza alcun senso di colpa e infischiandosene delle cose da fare. Se poi si becca la maratona della serie Fargo si può addirittura arrivare a credere, in piena overdose da paracetamolo, di essere stati baciati dalla dea fortuna.

Tirando qualche piccola somma (prefinale) Lester Nygaard e Lorne Malvo sono indubbiamente due personaggi riuscitissimi e indispensabili alla serie, ma quello di Molly Solverson, emerso lentamente, con delicata ma inesorabile tenacia, non è da meno. Guardando il pancione del Vice Solverson davanti al diagramma di flusso dell’intreccio criminoso non può non tornare in mente lei: Frances Mc Dormand, che, con la stessa parte in Fargo (il film), ha vinto l’Oscar come miglior attrice protagonista nel lontano 1997.

fargo-frances-

Ad Allison Tolman va quindi riconosciuto il merito di aver retto egregiamente un così ingombrante paragone e di aver interpretato magnificamente il ruolo di un personaggio che da insignificante e marginale diventa man mano centrale e dirimente. Adesso che il livello di paracetamolo nel sangue è sceso sento arrivare tutto il dolore che la maratona sottende: martedì prossimo ultima puntata, finale di stagione. Anche Fargo mi abbandona. Non so voi ma io soffro ogni volta che finisce una serie, se poi è particolarmente bella lo strazio aumenta. Ma tutto ciò fa parte del gioco e non ci penso affatto a sottrarmene, non è forse cento volte più sano il trauma da separazione che l’anedonia di chi rinuncia alle emozioni? fish fargo

Fortitude

Fortitude_R439_thumb400x275

Stasera è andata in onda la terza puntata di Fortitude, la nuova serie tv ambientata in una cittadina artica di 713 anime.

Le prime due puntate ( senzainterruzionechezeuslistrafulminimistavascoppiandolavescica ) trasmesse la scorsa settimana avevano messo un bel po’ di carne al fuoco: dalla notevolissima sequenza d’apertura allo spiattellamento eccessivo di particolari macabri, dai suggestivi paesaggi artici al caotico melting pot dei vari personaggi.

La trama si è rivelata un filo troppo intricata e incongruente e a un certo punto si è faticato a non perdere il filo su chi è chi, cosa fa, con chi se la fa, cosa nasconde e perché. E’ diventato un mix fra Twin Peaks, Lost e Assassinio sull’Orient Express, una specie di fastidioso John Carpenter dei poveri, per intenderci. Poi è arrivato Stanley Tucci e lo spazio-tempo ha ripreso a scorrere in un universo newtoniano, finalmente lo spettatore è stato liberato dalla somma dei singoli addendi e proiettato in un piacevole e (più o meno) sensato dipanarsi.

Malgrado l’esordio non mi abbia lasciato una piacevole sensazione a livello generale, va assolutamente riconosciuta l’altissima qualità della fotografia e delle riprese in esterna, siamo oltre il circolo polare artico e ci vuole veramente manico. Nella terza puntata ci vengono risparmiati inutili dettagli splatter e la frenesia narrativa sembra placarsi. Le indagini si focalizzano sulle relazioni illecite e s’indulge sull’inquietante (e più intrigante) particolare che a Fortitude non si può morire. Ovvero, al di sotto di una certa temperatura, anche se si muore, ciò che viene sepolto non si decompone, quindi in un certo senso non muore.

Ciò vale, ad esempio, per un mammuth come per un virus. Solo che nel caso del virus (o battere) non c’è tanto da stare tranquilli.

E potrebbe anche essere un valido motivo per uccidere qualcuno.

Volendo.