Il ponte delle spie

“Qual è la mossa successiva se non si sa qual è il gioco?”

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Ci pensa Spielberg a farci dimenticare -per un attimo – Star Wars e i cinepanettoni !

Il vero film di Natale è “Il ponte delle spie”.

Capiamoci, non è affatto un capolavoro e a tratti può risultare anche lento, ma non è mai noioso ed è -come al solito- impeccabile: a tratti sembra di vedere un film di Scorsese, tale è la maniacale fedeltà delle ricostruzioni storiche (1957) di ogni particolare, dalle insegne dei negozi di Brooklyn agli orli delle gonne. Intenso e curatissimo dosa perfettamente l’ansia da epilogo concedendo, in pieno relax, il tempo necessario a capire l’intreccio degli eventi senza perdere il filo della trama.


Mentre guardavo il film pensavo: chissà se Spielberg lo avrebbe girato lo stesso e quali sarebbero state le nostre sensazioni se lo avessimo visto prima dei fatti di Parigi. Ci saremmo schierati -senza se e senza ma- in difesa dei diritti di un immigrato che tradisce la Costituzione di chi lo ospita? Saremo in grado di trovare una giusta via di mezzo fra i cecchini e i confini aperti?


Come già in “Salvate il soldato Ryan” Spielberg ci porta dentro un momento storico di grande rilevanza (la guerra fredda) attraverso le storie personali di gente semplice, direttamente coinvolta negli eventi, affidando nuovamente la parte del protagonista a Tom Hanks, che qui interpreta un avvocato esperto nel ramo assicurativo a cui viene affidato, in via non ufficiale, l’incarico governativo di difendere una spia sovietica e di riportare a casa un soldato americano prigioniero dei russi.

E’ sempre utile ricordare che se si avviò il processo di pace e disarmo fu grazie al lavoro (a volte sporco e quasi sempre dietro le quinte) di individui (rimasti sconosciuti ai più) che riuscirono a intraprendere quel dialogo che i rispettivi Paesi non potevano avere, e furono in grado, non per tecniche o addestramento ma per carattere e intelligenza, di fermare quella giostra che stava conducendo il mondo nel baratro nucleare.


 

Categoria : boccata d’ossigeno

 

 

Il risveglio della Forza

 

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SPOILER ALERT ALTISSIMO

La domanda nasce spontanea: ma non potevate lasciarla dormire?

 

Non sto a girarci intorno più di tanto: “Il risveglio della forza” è brutto e alla fine pure noioso.

In giro si legge che è piaciuto e che è campione d’incassi, tutto vero.

Infatti quelli delusi siamo noi, gli appassionati della saga, gente che nel ’77 era seduta al cinema, che i sei episodi li ha visti e rivisti decine di volte, al cinema, in cassetta, in dvd , in lingua originale e in ogni condizione psicofisica.

Ma veniamo al punto: nell’intero film non vi è alcuno spunto originale e la pellicola è una colossale citazione o ripetizione delle “puntate precedenti”.

Alcuni esempi ?

-un robot (in questo caso l’adorabile BB-8) viene usato per nascondere dati di fondamentale importanza per la Resistenza.

-il miglior pilota della galassia è un figo pazzesco.

-il cattivo indossa una maschera (in questo caso inutile sia perchè respira benissimo anche senza, sia perchè non fa assolutamente paura ) e brutalizza i suoi sottoposti.

-Han Solo deve soldi a mezza galassia (ma non era un importante Generale?) e bisogna faticare a convincerlo ad aiutare la causa.

– c’è una locanda piena di mostriciattoli dove si possono reclutare aiutanti, trovare un trasporto per l’orlo esterno e intanto ascoltare un’orchestra jazz .

– esiste ancora il “ lato oscuro” (ma i Sith non erano tutti morti?) che ora si chiama “Primo Ordine” e che è sovrinteso da un tizio gigante che sembra Voldemort.

– l’arma letale dei cattivoni ha un punto debole protetto da scudi e per disattivarli bisogna recarvisi dentro.

-ci sono cose non dette fra padri e figli.

-i traumi del “risvegliato” si manifestano nella foresta.

-il pianeta ghiacciato.

-il compattatore di rifiuti.

-il count down.

Ma cos’è, Star Wars o Parenti serpenti?

Ma è Guerre Stellari o Vacanze di Natale su Tatooine?

A metà film si capisce che le poche novità sono schiacciate dall’urgenza riepilogativa, ed è un peccato perché i dialoghi migliori sono quelli fra Rey e Finn e  perché l’interessante passaggio della forza nelle mani di una donna avviene quasi in sordina e come per caso.

Ma si preferisce vincere facile, citando e rimandando.

C’era bisogno di una saggia e distaccata locandiera nana (vi prego ditemi che nelle loro intenzioni NON doveva ricordare Yoda)? C’era bisogno di un ennesimo- evidentissimo- rimando all’estetica nazista ? C’era bisogno di ripetere perfino le stesse frasi dei vecchi film? Cose del tipo:

“C’è ancora del bene in lui, lo sento”… (A questo noi ci eravamo arrivati dopo sette anni, tre film e grandissime aspettative).

Oppure il super cattivo che dice (riferendosi a Rey): “ Portatela da me”.

O ancora il generale che ordina: “ Distruggeteli, una volta per tutte “.

Basta. Pietà!

Meno male che Han Solo muore con onore e salva la dignità sia all’attore che al personaggio. Quantomeno non sarà tenuto in futuro a mantenere alto il livello di ironia, o sperticarsi nella citazione di sé stesso per compensare la mancanza di idee e spunti originali.

E’ più che evidente che la Disney ha prodotto questo film solo per riscaldare al microonde l’intera saga in favore dei nuovi piccoli fans, in vista degli enne episodi a seguire.

J.J.Abrahms – che pure aveva gestito bene il passaggio fra vecchio e nuovo negli ultimi Star Trek- ha toppato alla grande sprecando clamorosamente la ghiotta occasione di fare gol a porta vuota.

Categoria : da vedere per dimenticare .

 

Star-Wars-

SpecTRI

craig cravatta

Con ‘sta storia della rottamazione del settore doppio zero ora però ci stanno finendo di rompere le scatole.

Già in Skyfall quell’antipaticone di Mallory aveva irritato oltre misura, prima insistendo sui raggiunti limiti di età e poi lanciando un’odiosissima provocazione : “why don’t stay dead – perché non rimanere morto- suggerendo l’uscita di scena ideale per un agente a fine carriera.

Fine carriera un par di ciufole, caro M.

Nell’ultimo film lo smantellamento effettivo viene evitato di un soffio, e solo perché si scopre che chi lo voleva attuare era al soldo della Spectre, però ancora questi pigri burocrati ci insistono – e assai – con quest’idea di inadeguatezza e semi inutilità degli agenti segreti.

Io se ero Bond stavolta rimanevo per davvero morto.

E mentre tutti quelli della Eon- Broccoli compresi- si davano il loro bel da fare per organizzare il nuovo corso me ne stavo a fare palestra e qualche lavoretto tipo guardia del corpo di qualche cantante gnocca.

Poi durante le riprese del nuovo film piglia e comparivo, proprio nel momento in cui il primo ministro inglese era in pericolo e invece di salvarlo lo spingevo giù dalla cabinovia.

E vaffanculo.

Black sea

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Dopo vent’anni (e otto film sui sottomarini) da “Allarme rosso” avevamo tutti molta voglia di una pellicola che riuscisse ad emergere, o almeno a portarsi a quota periscopio – come già avevano fatto U-571, K-19 e U-429 – e invece niente da fare.

Per rimanere nel lessico della Marina: Black sea giace sul fondale.

Sono tante le cose che non funzionano in questo film a cominciare da Jude Law (il capitano di sommergibili Robinson) che dopo trent’anni in mare non ha una ruga.

Scaricato come spazzatura dalla sua compagnia di navigazione e abbandonato da moglie e figlio (la sua una storia tristissima e mai sentita prima: lui non c’era mai e lei si è messa con uno ricco) decide di riscattarsi organizzando una mission impossible : recuperare un considerevole quantitativo di lingotti d’oro contenuti nell’ U-boot di Hitler, che giace indisturbato sul fondale del Mar Nero dal 1940, o giù di lì.

Un gioco da ragazzi.

Per l’occasione assolda quindi la più eterogenea accozzaglia di svalvolati disponibili in circolazione e parte per il Mar Nero, a bordo di un Foxtrot totalmente arrugginito e privo delle benché minime dotazioni di sicurezza.

Dopo venticinque secondi a bordo esplodono già i primi conflitti fra USA e URSS, ovviamente per motivi assolutamente idioti, e un inarrestabile crescendo di stupidità immancabilmente causa una serie infinita di guasti e imprevisti.

Ma è roba di poco conto. Cosa vuoi che sia la perdita dell’albero di trasmissione o della radio, o d’indispensabili elementi dell’equipaggio se sei mosso dallo struggente ricordo del mulino bianco ?

E infatti malgrado tutte le possibili avversità il sommergibile si spancia magicamente a due passi dal fondale dove giace l’U-boot che stanno cercando (ovviamente senza sonar, tutto a “orecchio”).

Muoiono praticamente tutti ma la missione è compiuta e c’è tempo pure per il “riscatto dell’eroe”. Anziché salvarsi Robinson manda a galla i lingotti destinandoli al figlio dimostrando così di aver capito cosa veramente conta nella vita: i soldi.

Non è colpa del regista se al botteghino i film basati sui fumetti e sui supereroi sbancano. Però caro Kevin McDonald (che mi hai fatto pure un capolavoro come “L’ultimo Re di Scozia”) siamo all’ABC : devi scegliere. Se vuoi raccontare una storia che si svolge nello spazio tempo della realtà tangibile non la puoi farcire di elementi inverosimili e incongruenze logiche di ogni sorta.

Ciononostante  buttare via tutto sarebbe ingiusto. Va sicuramente lodata una delle cose più difficili da realizzare nei film sui sommergibili: la realizzazione delle scene sott’acqua. L’effetto “modellino” o “ videogioco” è sempre in agguato, e invece in questo film le scene negli abissi sono parecchio realistiche e il dosaggio delle luci le rende claustrofobiche al punto giusto.

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Ben Mendelsohn (lo sbullonato Fraser) ruba la scena a Jude Law in più di un’occasione, sia per fascino che per doti recitative, riportando a galla piacevolissimi flashbacks del Mickey Rourke degli anni ’90.

Categoria: occasione sprecata

Third person

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Passerò per antipatica e incontentabile come Albertini, il protagonista della pubblicità IGNIS degli anni ’70… ma questo film è davvero brutto, e pure assai.

E’ vero che partivo prevenuta perché Liam Neeson non mi è mai granchè piaciuto come attore, ma confidavo nel resto del cast e nella speranza che dopo un mese di programmazione scadente questo titolo risollevasse- anche di uno zero virgola – il livello dell’offerta.

Macchè.

Ingenua, illusa.

E non stiamo parlando di pischelli di borgata, ma di gente del calibro di Kim Basinger (sempre stupendamente di classe), Olivia Wilde, Mila Kunis, James Franco e Adrien Brody ( l’alta definizione sulle sue rughe ci fa sentire bellissimi). A costoro si aggiunge una schiera di notevolissimi comprimari ( fra cui Scamarcio, Marchioni- aka “il freddo”- e Virgilio -“Patrizia”- di “Romanzo criminale”, la serie).

Inoltre la produzione – fra cast, musiche e ambientazioni ricercatissime fra Roma e Parigi- non ha badato a spese.

Ma non c’è stato niente da fare.

La trama (uno scrittore -premio Pulitzer- in crisi di scrittura è alle prese con nuovo romanzo che non oltrepassa lo stile “Liala”) non c’è, la storia è fuffa e quindi il nulla cosmico prende lentamente ( molto) consistenza fino alle dimensioni di un pallone aerostatico.

Alla fine quel poco che teneva con lo sputo evapora inesorabilmente e il tutto si affloscia lasciando un vago senso di inutilità.

Categoria: imbarazzante

Focus: niente è come sembra

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Appunto, niente.

Sembrava di essere andati al cinema a vedere un film e invece ce ne è toccato un surrogato. Ma va bene lo stesso. In fondo l’inganno era ben visibile nel titolo e scioccamente abbiamo pensato che il pollo fosse dentro la pellicola.

Will Smith è Nicky, un truffatore “manager”, specializzato nel lavaggio dei proventi di furti, truffe e ricettazioni. Margot Robbie (conosciuta nella serie “Pan Am” e apprezzata in “The wolf of wall street” ) è una sua allieva molto dotata ( in tutti i sensi) che rapidamente entrerà a far parte della prima squadra.

Nel cast anche Rodrigo Santoro (sempre fascinoso) e l’ottimo Gerald McRaney (il Rick Simon della serie anni ‘80 Simon & Simon, recentemente ritornato a quei livelli di popolarità grazie al personaggio di Raymond Tusk nella serie “House of cards”).

Come in tutti i film sulle truffe ti siedi in poltrona sfidando gli sceneggiatori e le tue capacità deduttive. Più o meno inconsapevolmente cerchi di capire cosa sta veramente succedendo, dove stanno andando a parare comportandosi in quel modo bizzarro ( è lei che sta fregando lui o lui che sta fregando lei? O qualcun altro li sta manovrando a loro insaputa?) e, purtroppo, nel caso di Focus, quando infine le carte sono tutte sul tavolo la verità risulta vieppiù deludente, gli incastri inverosimili e l’intera storia troppo tirata per i capelli.

Ma, come dicevamo prima, va bene lo stesso.

Sono solo due ore di un ordinario pomeriggio feriale e possono essere spese per guardare Will Smith, iper-palestrato (a quarantasei anni sfoggia un fisico da ventenne) e spumeggiante, in un ruolo comico adattissimo alle sue caratteristiche recitative, come non lo vedevamo dai tempi di “Hitch”. Niente di più.

Categoria: cinemerendina

Kingsman: Secret Service

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Se volete passare due ore a ridere come gli scemi, ovvero come vi capitava a sedici anni, avete scelto la sala giusta.

A precise condizioni, però.

Vi devono piacere, e molto: lo humor inglese, gli abiti su misura, i vecchi film di James Bond (quelli inverosimili e misogini), i fumetti dei supereroi Marvel, Dylan Dog (per via delle scene splatter), i film degli X-men (la sceneggiatrice è la stessa), Ufficiale e gentiluomo, World War Z e Mister Bean.

Il film è sostanzialmente un fumettone dal cast a dir poco spumeggiante.

In primis un Colin Firth in grande spolvero. Forma fisica smagliante, tutti i capelli in testa (sebbene tristemente tinti) e pancia piallata, che per essere classe 1960 non è davvero poco!

Poi c’è Samuel Jackson nelle vesti del “pittoresco megalomane” (o per meglio dire, della sua faticosissima parodia) che vuole conquistare il mondo, nella più classica tradizione Spectre.

C’è anche l’elegantissimo e sempre magnetico Michael Caine, il redivivo e quasi irriconoscibile Mark Hamill (OMG! Già mi figuro il prossimo Star Wars più come sequel di Cocoon che di se stesso) e la rivelazione del film: Taron Egerton che interpreta Gary “Eggsy” Unwin.

Come direbbe James Bond: Remarkable ! Davvero notevole.

Il ragazzo è bello e tremendamente espressivo. E quando da teppistello di strada si trasforma in un perfetto gentleman (AKA una spia Kingsman) risulta davvero irresistibile.

Ci si annoia davvero poco (a mio avviso c’è una piccola fase di stanca un po’ prima della fine) perché il ritmo è serrato e sostenuto costantemente da molta bella roba: adrenalinici inseguimenti in auto, paracadutismo estremo, ambientazioni ricercatissime (i classici negozi inglesi semplicemente sublimi), gadget di “Q”stupendamente ricreati, Big MC serviti con Chateau Lafitte, citazioni di Hemingway, tanta bella musica anni ’80 (“Give it up” di KC & The Sunshine Band come sottofondo per una carneficina, “Money for nothing” dei Dire Straits in apertura, “Slave to love” di Bryan Ferry perfettamente incastonata nel pre-finale) e tanti bei vestiti da uomo! Fra le tante mises merita una menzione la giacca da smoking-ovviamente su misura- indossata da Colin Firth ( taglia 46?) sui pantaloni a quadri blu e verdi.

Semplicemente mozzafiato.

Esattamente come più tardi apparirà Eggsy, con indosso il suo primo doppiopetto gessato fresco di sartoria “Kingsman”.

Taron-Egerton

Se volete divertirvi seguite la storia ma non cercate la logica: è un fumetto, un piacevolissimo amarcord, almeno per i quarantenni (and a bit more). Non pensate troppo al senso delle cose, staccate la mente e godetevi gli ascensori, il bullet metro, i covi segreti, gli addestramenti brutali, le cravatte regimental, l’aplomb e le freddure, le mattanze e gli snobismi.

Viva l’old fashioned e viva il cocktail Martini! (con il gin, niente vodka)

Categoria: evergreen .

Birdman – The unexpected virtue of ignorance

spoiler warning : high 

Birdman-

Riggan Thomson (Michael Keaton) è un famoso attore rimasto intrappolato nel personaggio di Birdman, un supereroe di grandissimo successo che ha interpretato negli anni ’90.

Ossessionato dall’idea di dimostrare al mondo (nonché alla famiglia, allo show business e a se stesso) di essere un valido attore, scrive, dirige e mette in scena a Broadway l’adattamento di un racconto di Raymond Carver.

Nella temeraria impresa divide il palco con Mike (Ed Norton), talentuoso e svalvolato compagno della fragile e insicura Leslie (Naomi Watts), e la “fidanzata” Laura (Andrea Riseborough). La figlia Sam (Emma Stone), appena uscita da un programma di recupero per tossicodipendenti, gli fa da assistente personale. All’infinito turbinio narrativo (a tratti sembra di essere dentro un unico piano sequenza) partecipano anche il manager Jake e la ex moglie, Sylvia. Con ciascuno di essi, oltre che con se stesso e il suo ingombrante alter ego, Riggan ha problemi da risolvere o entra in conflitto.

Angosciato dalle enormi aspettative della prova che lo aspetta Riggan viaggia dall’empireo all’inferno delle emozioni, andata e ritorno, più volte al giorno. A pochi giorni dal debutto, durante le anteprime, le tensioni non risolte esplodono in ogni modo possibile e Riggan si trova più volte sul punto di mollare tutto. Sia la figlia, che Mike, che la critica letteraria del New York Times lo feriscono e lo umiliano profondamente, dicendogli che lo spettacolo è patetico, che lui è patetico, che sarà sempre e solo una celebrità, mai un vero attore.  Riggan si rifugia in camerino dove spacca tutto e finisce nel solito, vertiginoso giro sulle montagne russe emozionali insieme all’inseparabile Birdman. L’alter ego vuole, come sempre, tornare in scena e lo incalza continuamente a produrre il quarto blockbuster. Malgrado sia confuso e titubante Riggan è però ormai deciso a debuttare, e traghettare se stesso oltre la tuta di lycra e le piume d’uccello. A questo punto l’alter ego smette di rimproverarlo e inizia a blandirlo e adularlo, spingendolo ad ideare un finale sconvolgente e strepitoso, degno di un “dio del palcoscenico”.

Come nel più classico misto shakespeariano di tragedia e farsa (il “tradimento” di Mike scoperto a flirtare con Sam, Riggan che rimane in mutande in mezzo alla strada, la sostituzione di un particolare oggetto di scena…) la storia si avvita verso il finale, seguendo una perfetta spirale narrativa priva di battute d’arresto.

I sospetti di un finale tragico alla “Cigno Nero” si manifestano inesorabili, sebbene la telecamera non sia lì, a guardare inutilmente nel buco della serratura della mente disturbata di Riggan. Si ferma invece a lungo, e finalmente, in un vuoto corridoio. Sentiamo lo sparo, e gli applausi. La telecamera riprende il suo moto mentre “l’imprevedibile virtù dell’ignoranza” concede a Riggan la chance di uscire di scena- a teatro- liberandosi di Birdman, e nella vita, diventandolo.

Come nel paradosso del gatto di Schrodinger, Riggan- sfigurato e trasfigurato- muore e non muore, uccide (freudianamente) Birdman e si fonde con lui, cerca una soluzione razionale e (forse) ne trova una irrazionale.

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Meteore, meduse, assoli di batteria, rughe, parrucchini, whisky da sei dollari. E poi deliri di onnipotenza, disturbi della sessualità, insicurezze, fragilità. E sensi di colpa, rimorsi e rimpianti.

Inarritu mette moltissima carne al fuoco ma la domina e la dosa alla perfezione lasciando lo spettatore a godersi il piacere della convulsione narrativa e a contorcersi nella tensione senza poter riprendere fiato, fino all’ultimo, sorprendente, fotogramma. E’ un film da Oscar, con un attore protagonista da Oscar.

Di Birdman si parlerà molto a lungo e con esso “la trilogia sulla morte” (Amores perros, 21 grammi, Babel) si arricchisce a mio avviso del quarto, magnifico, compagno di viaggio.

Categoria: capolavoro.